Le tele aggomitolate di Loris Agosto /
Dal Caos primordiale l’ordine /
Intro-ire per Intus-legere

 
 

Andare dentro per leggere in profondità. Dall’esterno all’interno pertanto. Un viaggio al cuore dell’opera scivolando lungo grovigli intricati di dripping e versature. In consensi/dissensi di tinte che hanno la vastità delle infinite cose e si intersecano, si sovrappongono, sfuggono, riemergono configurando campiture strane. Il caos. Congerie di cromie in discontinuità fluida, all’apparenza senza senso. Richiamanti flash improvvisi di visioni a macchie: scure come corpi di insetti dalle sottili zampe, neonate sul verde brillante di prati assurdi, contro un cielo rovesciato che traspare in sprazzi/resti di naufragi. Asimmetrie complicate. Eppure qualcosa vibra e si va facendo sotto quelle matasse, imprevedibili ma non casuali. Là, nelle gamme articolate di colori sta il mistero della creazione. Sulle tele aggomitolate, lavorate scientemente dall’artista per suggerire sinuosità materiche, la confusione regna sovrana. Ma fermenta anche, allentandosi e riassestandosi nella calma di nuove strutture elementari. E ciò mentre intride strati e si insinua “in una parte più e meno altrove” (Dante Alighieri, La Divina Commedia, Paradiso, I , v. 2) mentre si separa nelle sue componenti specializzandosi, plasmando le vesti del fenomenico. Da cogliere a guizzi virtuali di percezione. Senza chiedersi ragioni. Così trasformata, dilaga simile alla luce del creatore. Si assesta in gerarchie. Questo sistemarsi progressivo, che possiamo solo immaginare, ha una voce: stride a blocchi consenzienti, con il clic di cerniere che si saldano. E tacciono poi, finalmente. Quando dal Caos primordiale nasce l’ordine. Un ordine d’artista. Perché si fa. Nel concetto astratto che esce dalle mani. Non ci sono immagini, centri, periferie ma distese di filamenti che si fermano al bordo della tela aggomitolata, morendo sulle ultime gibbosità e non travalicandone i bordi. Entro i quali, tra i viluppi di colore, Loris Agosto imprigiona l’agglutinarsi delle forme, il loro movimento strutturale. La drammaticità del dipinto sta dunque a livello della superficie, la cui tensione si allenta all’unisono con lo sprofondare della mente sotto la “crosta” a geroglifici. In modo tale che lo spettatore è chiamato ad aggredire e invadere lo spazio del quadro. E non attraverso un varco metafisico, una fessura sull’inconscio simile a quella che postulava Pollock negli anni ’50. Non c’è alcuna volontà di riprodurre illusionisticamente la realtà. La rappresentazione può essere infatti, per la sua stessa natura, testimonianza esistenziale dell’artefice.


Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte / Loris Agosto /
19 ottobre 2011