Le penultime cronache di Gianni Anglisani
tra (orrori, rabbie, tenerezze, irriducibili speranze)

 
 

Gianni Anglisani è ancora in mezzo a noi, più espressivo che mai attraverso il suo porsi tanto diretto. Come una pugnalata del tutto prevista, e da cui non puoi difenderti perché affascinato dall’attore del gesto, dal soggetto che non riesci a smettere di leggere in una sorta di tensione, di sfida mediata dall’interpretazione artistica.

penultime cronache è il titolo di questo libro di Gianni, sopravvissuto al suo inevitabile naufragio di mortale. Preparato con cura per le stampe, com’era nelle sue abitudini. Un testamento quasi, per farci ricordare chi siamo, nel bene e nel male, nell’amore e nell’odio, con la passione che lo connotava e il coraggio di denunciare, denunciare sempre quanto ormai vergognosamente integrato nel vivere.

La raccolta è piccola ma densa, emblematica nel titolo che sottolinea l’incapacità dell’uomo ad arginare la marea montante della violenza gratuita. penultime, queste cronache, perché le ultime sono di là da venire. La speranza c’è ma il male non finisce, è banalmente routine, tessuto ormai connettivo del nostro quotidiano. Come la comunicazione che ci arriva da asettici servizi giornalistici letti su una spiaggia crogiolandoci al sole, mentre il nostro peggior incubo avanza nei panni di una Donna Nera con il figlio in braccio, incubo che è subito scacciato, annegato nel fresco di un bagno e nell’aroma di un caffè.

Zoran Music intitolò il suo ciclo di dipinti dedicato alle vittime di Dachau Non siamo gli ultimi. Nella folgorazione del tormento, nel recupero e ritorno postumo a quelle atrocità c’è una preveggenza purtroppo non smentibile. Suggerita come matrice seriale dalla potenza del benessere irriverente dei bisogni primari, quelli che, se ascoltati e condivisi, renderebbero decoroso e santo l’esserci.

I nuclei dell’opera si intersecano gli uni negli altri, in unità profonda. Dato che l’uomo è fatto di luce e ombra, non dissimile deve essere il diario delle pene di chi fa da portavoce alle creature forzatamente mute per qualsiasi forma di dittatura: delle multinazionali, dei signori della guerra, dei politici volti alla supremazia e ciechi davanti ai valori democratici. Gli unici fondanti per una società giusta.

L’universo femminino è lucestupore per Gianni. Talora miraggio. Vari tipi di amore lo confortano. Egli diventa un Ulisse povero di orizzonti per Circe dagli occhi come topazi, pronta a tenerlo per un po’ con sé e poi ad accompagnarlo verso il suo destino segnato in cielo. E, se fosse veramente Ulisse, sarebbe Itaca la meta, ma nel caso suo diviene un vento forse di solo parole che vibra nelle vele perché …, perché lui è un poeta e, in quanto tale, converte il dolore nell’illusione protratta di costringere all’abbraccio anche l’Unico, o meglio: soprattutto l’Unico vista la sua raccontata capacità di intervenire per cambiare le cose. Un po’ di beffarda ironia incalza sicuramente i versi de Il Poeta, epitaffio sorprendente di una vocazione esistenziale che ci riporta al Dialogo d’amore o forse no tra Ulisse e Circe. Come quel dire Volta la schiena alla lunapiena e ai suoi furori romantici. In fondo la luna piena sa chiaroscurare a modo profili maturi di donna e ridare la serenità di ore recuperate in una ricerca del tempo che può consistere uguale e aprirti cieli innocenti o approdi sicuri anche nella nebbia, a patto che il sentimento duri.

Brevi pause, queste degli affetti, nel dilagare della consapevolezza e dell’angoscia per una dimensione aliena che è come un viaggio tra orrori impensabili. Gli scenari inventati sono pane comune per uno scrittore, ma la realtà supera ogni finzione: non puoi chiuderti nel tuo nido e ignorarla. Devi affermare la tua incredulità di fronte all’assenza di un Dio che possa arginare gli infiniti iddii in terra, ladroni a caccia di ladroni nel deserto della ragione resa macello, nel silenzio imposto perché i corpi degli assassinati sono privi di nome o, se avessero un nome, parlerebbero favelle sconosciute persino a Cristo. Cristo è sgomento di fronte all’uomo e alle sue Fosse comuni stipate di membra senza croce e senza mezzaluna. Neanche il sollievo di capire dunque, se si muore in Cristo o senza Cristo, in Allah o senza Allah. La morte inutile. Quanto di più feroce l’uomo possa perpetrare contro se stesso.

Solitario è il viaggio di chi ha molto visto e quindi intende. Sapido di una sapienza che preclude a una filosofia della responsabilità di ispirazione stoica poiché basata sull’Impegno. Morale severa, la sua, che considera meritorio solamente l’uomo aperto al mondo tueglialtri con attenzione e rispetto, masticandone il sapore aspro, ferroso, sanguigno, e raramente dolce. Un Inferno, in fondo, il suo universo, degno delle concezioni di Bosch, con quel che di dissacrante che ce lo rende tanto vicino. Facile pertanto salutarla, questa dimensione, con un noncurante cenno della mano. La propria morte, annunciata nello sfinimento di una languida Malinconia preludio di Distacco, sta nello sdegnato rifiuto della malasorte, volgare come tutto ciò che imputa agli altri ogni stortura di destino. Il Titanismo è evidente. Non piegare la testa di fronte a nulla, conscio del fatto di trovarsi gettato in una condizione di inautenticità, propria del giorno dopo giorno composto di istanti di poco conto. Quando dunque si acquisisce coscienza di ciò, sfuma ogni dubbio. È a partire da questo attimo fondamentale che tutto il vivere subisce una svolta di significato, assolutamente chiara nella teoresi di Gianni Anglisani. Realizzare pertanto la cura di sé, approfondire il rapporto con la temporalità e lo spirituale, pur non parlando mai dell’anima, sono connotati precipui di poetica. Che potrebbero accennare a una svolta nichilista. Ma, mentre la nega, l’anima, più la cerca e più ce la fa desiderare come legame sottile tra l’io, iltu e  gli altri.

Un grandissimo del nostro passato, Ugo Foscolo, definì la Compassione come l’unica virtù possibile per l’uomo di forte sentire. In periodi storici di terribili rivolgimenti e strazi qualsiasi altra suonerebbe falsa. Vale l’abbraccio fraterno, pur calato nel colore scialbo della corsa al profitto che tutto appiattisce per il raggiungimento di obiettivi meramente concreti in una società volta all’utile. Serve l’Immaginazione del cuore. Così definisce la Compassione il Premio Nobel Szymborska in quello straordinario libro del ’57 che è Appello allo Yeti. L’Immaginazione del cuore per ripristinare l’Amore. Permane pertanto il dovere della Memoria o delle Memorie da rinnovellarsi nell’attesa della Speranza e da esorcizzare in una stretta amica, festeggiando un’Epifania che – umoristicamente - ci avvisa della necessità di guardare avanti, dopo le rutilanti dichiarazioni di Natività illustri ormai estenuate.

I ricercatori del mercato, gli esperti del rating definirebbero Gianni Anglisani un utopista visionario. Noi, che raccogliamo la sua eredità di parole e segni, lo pensiamo un Uomo capace di rivoltare zolle con la forza del suo pensiero.

La singolare tempra di penultime cronache ne è la testimonianza.


Irene Navarra, in Speciale Cultura di Voce Isontina del 10 luglio 2010


(Dallo studio propedeutico alla pubblicazione di penultime cronache, a cura di Irene Navarra, e all'evento del 3 luglio 2010 L'Espressione e il Tempo, realizzato da Artemisia Eventi per l'Associazione Culturale Gianni Anglisani)