L'anima molteplice di Maria Concetta Arezzi

 
 

Molte presenze femminili nella dimensione lirica di Maria Concetta Arezzi. Donne della storia e del mito narrano le complesse sfumature della sua anima diventando correlativi oggettivi di astrazioni enigmatiche. E lei, la poetessa, al centro di questa fantasmagoria scintillante per echi e rimandi, calibra il gioco sottile delle evocazioni. Una maga che con un cenno cortese chiama a sé il tempo, lo piega al suo pensiero, lo riplasma in istanti ricchi di linfa fresca.
La immagino allo specchio, mentre si guarda e, lentamente, aliena se stessa per far coincidere i suoi tratti con quelli dell'eroina prescelta da rivisitare. Nel balzo immaginativo di una mitopoiesi spontanea, Maria Concetta sa ritrarre Lucrezia Borgia e Leda. Riscrivendo, così, le pagine immortali di cantori eccelsi. Allora, empaticamente coinvolta in sogni e passioni, può considerare con e per Ipazia: "quanto costò / l'essere nata donna e diventare dotta".
Un motivo, questa della sofferenza delle donne per la condanna di escluse ab origine, che ritroviamo in altre composizioni del libro. Quando in Orgogliosamente donna, "rea di essere / nata femmina" in un mondo fatto di uomini", alza fiera la testa e sorride. Quando in Folle dolore si protegge dicendo: "Sono / il calco di una donna / senza tempo / irraggiungibile e senza meta". E, finalmente, quando in Promessa compone un epitaffio che è un urlo di rivalsa, universalizzato attraverso la sua stessa voce: "donna// amati / prima / dopo / sempre // e solo / allora // lasciati / amare".
Una costante sfida al mondo convenzionale, la sua, in nome di un'affermazione espressa con vigore perché conquistata a fatica. Nell'affanno del giorno dopo giorno, con dentro ancora bruciante la ferita inferta da chi "non provava dolore" ma "il dolore / lo recitava" (da Mio padre), lenita tuttavia dagli affetti: per i figli, i nipoti, le amiche, la madre di cui nella maturità capisce le ragioni. Quelle della mente, degli obblighi ineluttabili che cancellano la purezza degli impulsi autentici. Le ragioni del cuore, invece, devono languire come lumini consunti di fronte ai doveri. Ci si fa ciechi per non vedere, e ci si accontenta di scarse briciole scrollate con noncuranza. Si accetta. Finché la natura selvaggia prorompe, i sensi si riscoprono intatti e ci si offre, con l'esuberanza della gioventù incauta.
Si torna a vivere.
Si torna a vivere dopo la solitudine mentre "copiose stille / scivolano / bagnando / un cartellone infangato / con su scritta / l'improrogabile chiosa / di un romanzo" (da Ho passeggiato col vento).
Ecco, il significato profondo dell'amore per Maria Concetta sta proprio nella capacità di seguirne ogni parabola: dall'abbandono fiacco di una storia già risolta, all'inizio di una nuova esperienza resa in tutte le venature di senso, fino alle metafore suggestive di una parresia erotica dissimulata ad arte. Indulgere nel piacere del ricordo dopo la voluttà è per lei ripercorrerla, ricostruirla centellinandone l'acme parossistica. Mentre, però, va anche tessendo il suo versante spirituale lungo il quale può risorgere da ogni esperienza.
Terrigna di pulsioni e celeste di slanci, ardita e ritrosa allo stesso tempo, nell'ultima tappa del suo itinerario di confessioni ci lascia con una sorta di testamento in cui si rivela rapita da un fiore e donata al vento. In frenetico turbinio di crolli e riprese. Una Farfalla dalle ali di velo che, alla fine del suo tempo, si abbandona "tra foglie / di filigrana" (da Papillon) e si sublima in stella.
Le afflizioni e i turbamenti sono eventi improrogabili della nostra quotidiana cronaca. Se li riconosceremo come viatici di salvezza, percepiremo il quid imperituro alle radici della vita, ci avverte Maria Concetta. Saggia ormai, poiché conscia di essere "ciò che / il destino ha forgiato" (da Non sono poeta).
Quella di Maria Concetta Arezzi è una poesia di respiro inconfondibile, estranea a qualsiasi linea di tendenza. Spontaneamente duttile nell'ispirazione e nei soggetti. Animata sempre da visioni atte a illustrare le emozioni facendole sentire. Come se lei le cogliesse affacciata al suo stesso corpo e assistendo ai suoi stessi drammi. Interpretati ora in prima persona, ora attraverso dei personaggi/medium. E tutto ciò in strutture aperte di brevi sequenze che si affidano a un registro linguistico eclettico e a un ritmo spesso franto nell'altalenare dei versicoli.

Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Poesia / Maria Concetta Arezzi /
19 agosto 2014