I passi senza tempo della memoria

 
 

Ore 18.20 del 30 ottobre 2009. Come tante altre volte varco la soglia del Monastero di Sant’Orsola, salgo gli scalini d’accesso, entro nel vasto atrio, prendo la porta a sinistra e mi avvio verso la Cappella. Là – lo so – le suore sono immerse nella preghiera quotidiana. Voglio respirare un po’ della loro stessa pace. Me lo concedono - per delicato garbo – se ne sento l’esigenza. Percorro i metri del corridoio, lucidato a specchio, che mi separa dal cuore pulsante del Convento e m’intrufolo in silenzio nell’atmosfera sacra delle loro voci. Sono tanto assorte che non si accorgono della mia comparsa. Mi siedo su una panca addossata al muro di fondo e le osservo, le mie care suore: spalle un po’ curve e mani giunte, invocano il Signore. I ricordi riaffiorano dal passato. Mi rivedo bambina, ritrovo le tracce leggere degli anni delle elementari trascorsi in quest’ambiente sereno e nel parco magnifico, profumato di essenze arboree rare. Ritornano Madre Angela, Suor Cristina, Suor Concetta: le maestre della mia infanzia; davanti a me, vicine all’altare, Suor Elena, Suor Maria di Lourdes, Suor Marcelliana, Suor Fides… le amiche di adesso.
Mi sto godendo il bene spirituale che è l’eredità del decreto di nascita del Monastero, quello risalente al 24 marzo 1672. Vivo il frutto di una pagina di storia che non deve finire. Perché loro, le Orsoline, l’hanno scritta con noi, partecipando in pensieri e opere al suo corso spesso amaro. Opere che sono testimoniate in ciò che resta di paramenti sacri e di altri lavori manuali come i pizzi a fusello, risalenti, in special modo, al Settecento. Gli urbari, dove sono annotate mese per mese entrate e uscite della comunità, ce lo raccontano. Da quelle carte sappiamo dell’acquisto di  “quadretto giallo per fodera e seta rossa”, “oro grosso …argento sottile…per raccamar l’antipetto rosso di S. Orsola”, “fiochi per metter sotto il merlo dell’antipetto di S. Agostino”. Pianete, piviali, paliotti finemente decorati sbocciavano a poco a poco dall’ispirazione delle artefici, il tutto dedicato a Dio, senza forma speculativa alcuna, ma ad arricchimento dell’arredo ecclesiastico delle Chiese della città di Gorizia e dei dintorni.
Salviamolo dunque questo patrimonio che ci parla di fatica perenne, di occhi e dita consumate, giorno dopo giorno, nella gioia di servire il Creatore. Riflettiamo sul suo valore di gioiello straordinario. Valutiamo il pregio di quanto ci è stato e ci viene insegnato tra i banchi della loro ormai secolare Scuola, tuttora fedele alla vocazione d’inizio: educare con rigore e dolcezza.
Un messaggio, questo mio, d’invito ad agire per il riscatto dell’Istituzione da un naufragio quasi inevitabile e opportuno solamente alla logica contemporanea del poco sensibile al bello. Un messaggio che le Amministrazioni - cittadina, provinciale e regionale - dovrebbero recepire. Così come l’intese un mio allievo di II liceo classico, Vanni Veronesi da Cervignano, quando, in preparazione al prestigioso Premio Grinzane Cavour Giovani dal tema Mecenate oggi: idee per il futuro, che poi avrebbe vinto, per la prima volta vide i tesori del Monastero di Sant’Orsola, si inebriò della sua aria senza tempo, si interrogò sul suo futuro e ottimamente scrisse:
"[…] È soprattutto il patrimonio locale, che magari non fa "audience", a soffrire di più la mancanza di fondi; è il caso, e finalmente vengo a parlare delle mie terre, della collezione d'arte conservata nel Monastero delle Orsoline a Gorizia, la città dove frequento il Liceo classico. Pochissimi sanno che queste monache hanno fra le mani un complesso di dipinti, incisioni, reliquie, paramenti sacri, merletti, documenti antichi, libri del '500, '600, '700, broccati e stampe davvero unico. Il controllo e la manutenzione devono essere costanti, ma i fondi sono limitati, e le amministrazioni non intervengono; d'altronde, si pensa, a chi possono interessare le pur magnifiche incisioni, presenti nel monastero, del grande artista veneto del '700 Giovan Battista Piazzetta? Eppure è proprio per la gente comune, per chi magari non ha mai sentito parlare di questi artisti che bisognerebbe agire: sacrosanto conoscere Warhol e Mirò, ma perché allora ignorare quel patrimonio locale che è alla base della nostra identità? Restaurare non vuol dire solo riportare allo stato originale un'opera d'arte: significa riscoprire un pezzo della propria storia e investirla di un nuovo significato per la contemporaneità. Per questo io ritengo che l'intervento ideale sia quello che coinvolga tutta la comunità.
Nel caso delle Orsoline, perché non affidare la sistemazione dello storico parco agli studenti dell'Istituto agrario della vicina Gradisca? E perché non organizzare stage per giovani restauratori in collaborazione con il Centro di restauro regionale? Credo che solo in questo modo si possa sviluppare un’autentica coscienza artistica che forse, per assurdo, proprio in un paese come il nostro, dove si respira cultura in ogni angolo, è ancora debole: il mecenatismo, a quel punto, nascerà di conseguenza, magari anche sotto forma di offerte dirette provenienti dai cittadini, orgogliosi di valorizzare il proprio patrimonio storico e di dire "ho contribuito anch'io". E' qui che bisogna arrivare! Riscoprire il proprio passato, aprirsi al futuro e sostenere il presente sono gli obbiettivi che, d'altronde, il mecenatismo ha sempre affrontato, ma oggi c'è in gioco molto di più: la nostra identità, da valorizzare, tramite l'arte, in un contesto di Europa unita, il distinguersi e insieme fondersi con gli altri popoli del continente. Un compito che noi giovani dovremo assolvere imparando dalle generazioni che ci hanno preceduto e insieme superandole, poiché, per dirla di nuovo con Leonardo: Tristo è quel discepolo che non avanza il maestro!". (Passo tratto dal saggio di Vanni Veronesi Arte, artisti e artefici, vincitore del Premio Grinzane Cavour Giovani 2005, e qui pubblicato con il permesso dell’autore.)


Irene Navarra, in Speciale Cultura di Voce Isontina del 7 novembre 2009