Derive

 
 
 
L’autrice goriziana protagonista di “Tra_Inganni”
Irene Navarra, quelle Derive in versi
Princis: «Uno dei migliori libri di poesia che sia uscito negli ultimi anni»
 
 
Mettere per iscritto tre anni della propria vita. Dare alla poesia la responsabilità di raccontare. Credere che le parole hanno peso specifico e significato, per dire quello che non si può confessare. A voce. Nasce così Derive, la raccolta di poesie della goriziana Irene N avarra, che ha focalizzato l'appuntamento pomeridiano della prima giornata della Festa della Cultura, a titolo Tra_inganni, ieri ai Musei Provinciali di Borgo Castello. «Ho sempre cercato un dialogo fra gli autori del territorio e i vari ospiti di livello nazionale che hanno animato le passate edizioni della manifestazione - ha esordito il direttore artistico Alberto Princis - perché penso che la qualità, sempre, alla fine paga. La raccolta "Derive" - ha proseguito - è uno dei migliori libri di poesia che sia uscito negli ultimi anni». Con la voce di Mariolina De Feo, le liriche della Navarra hanno preso corpo e suono. Questa raccolta ferma e approfondisce un momento importante e intenso nella vita della Navarra. «È un viaggio di salvezza, il suo, in cui continuamente lei si domanda quale sia la rotta migliore - ancora Princis -, fa i conti con il preciso momento in cui qualcosa di sé muore». Qui inizia il viaggio notturno, fra intensità e passioni. Diviso in due parti, L'ora d'Ombra dove tutto ha radice nel pensiero, e Il mondo fuori dove la fisicità dell'esistenza vuole il suo respiro, Derive spiega, in un cammino irto, quali possono essere, quotidianamente, le derive intime nel mare del tempo. "Perché il passato s'infutura / e poi ritorna indietro". Pagina dopo pagina, la Navarra costruisce un’architettura di riflessioni, di pensieri, dove l'introspezione trova il suo contrappunto negli spazi che si aprono, alle semplici domande della vita: "E quando chiama il cuore?". Derive è una confessione, è un momento indagato ed esposto, in cui l'autrice dice: eccomi, sono qui. Più vicina, di sempre, all'osso della vita.  
 

Giovanni Fierro, Il piccolo, 5 novembre 2009

 
 
L’Inverso e il Verso… Verso In Verso
Magia di parole
“(Penso ad amare il mio nemico / perché l’assalto che mi dona / lenisce lo scippo della vita.)”
Il nuovo libro di Irene Navarra Derive presentato da Alberto Princis
 
 
Non è mia intenzione offrire qui un saggio di critica letteraria – qualcuno ben più autorevole di me l’ha fatto e comunque rimando alla brillante prefazione di Silvia Valenti, che ha saputo magistralmente delineare il percorso, non solo letterario, dell’autrice mettendone in luce e sottolineando i passaggi più aspri e sofferti con pagine di vera letteratura. Rischierei di ripetere parole già dette, se volessi semplicemente svelarne il contenuto, racconto di un io-donna ferito e del suo sollevarsi, attraverso un viaggio esistenziale durato tre anni – quelli del lutto cinese: di più sarebbe insano, di meno troppo poco, ha precisato il relatore. Evidenzierò, quindi, alcuni aspetti insoliti colti durante la presentazione di giovedì scorso e che, da storica, ho rapportato al mio ambito.
Con il nome Trionfi o Arcani Maggiori vengono indicate le ventidue carte da gioco – pare siano nate in un momento imprecisato tra il 1423, quando San Bernardino da Siena menziona soltanto le carte dai quattro semi, e il 1453 epoca in cui un anonimo francescano tuona contro i dadi, le carte in genere e i Trionfi in particolare - recanti ciascuna un soggetto ben preciso, che nel gioco divinatorio viene interpretato simbolicamente in una visione del futuro. Tra queste ventidue carte ve n’è una in particolare, il Bagatto o Mago, sempre accomunata al suo doppio, il Matto. La prima rappresenta un giocoliere che, con abilità, fa scomparire e riapparire alcuni oggetti: simboleggia l’iniziativa, la fiducia nelle proprie forze, la saggezza e la creatività originale impiegata nel perseguimento degli obiettivi. La seconda, invece, racchiude una simbologia negativa nel significato di sottomissione agli influssi esterni, impulsività, follia. La figura che vi è impressa appare lacera, scarmigliata, sporca, la si intuisce senza pace, in un perenne peregrinare. Le due carte mi si sono palesate in una visione del travagliato, intenso cammino interiore, che ha condotto la poetessa a farci dono di uno dei più bei testi poetici del panorama contemporaneo. Ho percepito una pazzia indotta, un dolore che lacera in un Silenzio assordante, un’anima alla deriva che s’interroga sul senso del patire (senza dubbio secondo l’etimo greco pathos) “Capire – come dice Simone Weil -/ che l’afflizione è un dono? / che l’anima si salva dagli agguati / e si abbandona un poco / solo nel dolore?” (La queste, p.60), che intravede la Luce oltre l’Ombra e si domanda: “La sola dignità dell’uomo / sta nel coraggio di capire?”(Rimedi, p 101),per raggiungere infine la Rivelazione:“Altissimo un lampeggiare d’ali, / un volo netto e chiara la sua scia / nella lavagna scura, rasserenata / quasi dal passaggio strano. / Le mani languide di un Sole appena nato / poggiate inconsistenti sulle spalle. / Rapida ruoto con le braccia spalancate. / È là, dietro di me, pronta a donarsi / la creatura che mi assiste. / Raggi mi squarciano la fronte. // (Oh mio infinito e buon Signore!) // Grazie.” (Rivelazione, p. 104). La salvezza del Matto è racchiusa nelle parole, dunque. E nelle sue liriche Irene Navarra, mago sapiente, gioca con esse: quelle culte, che fanno parte del suo bagaglio, del suo curriculum vitae et studiorum; quelle lievi dei quotidiani affetti o gravi di silenzio dolente; quelle, infine, del suo vocabolario ab limine. A queste Alberto Princis ha fatto chiaro riferimento nel narrare di lei riferendosi, forse, a quel piccolo scrigno prezioso che è il suo Campionario Estate/Autunno (Il Nuovo Timavo – Serie terza – 2008 n° 14, Hammerle Editori, Trieste) dove presenta come personale e necessaria all’espressione di sé“ la scelta di diversi timbri e modalità di scrittura compatibili con le diversità che caratterizzano il nostro territorio: campionario di esperienze stilistiche e di linguaggio ovvero di modelli di scelte letterarie.” (ibidem, p. 5). L’attribuire a Irene una propria peculiarità, il riconoscerne la grandezza dei versi e del poetare, sono sintomi di un legame letterario che va oltre la stima reciproca e si concretizza in un sentire comune, un compartecipare di uno stesso ambiente culturale – dato dalla specificità di Gorizia - che la Navarra ha suggellato con un omaggio, facendo sue le parole di Alberto: “Perché non ti curi – mi disse -/ tu soffri, e così ancora o più aggarbugli / questo mondo disordinato… / Risposi: «l’arte e l’amore / (genitori immensi di condanna e sconfitta) / sono davvero l’inganno più lieve / della mia guarigione…» ” (ibidem, XIII Canto, p. 44). Con questi versi la poetessa-mago ha concluso l’incontro tra gli applausi del nutrito pubblico. Avvalorando quindi la tesi della parola-salvezza (la scrittura-terapia di sveviana memoria…) mi piace chiudere questa mia riflessione ancora con Alberto: “La parola, a volte, offre una speranza di riscatto, o almeno un orizzonte, all’immaginario ferito.” (Ibidem, Ombre di mare per gesti perduti, p. 7). 
 

Alessandra Rea, Quaderni di critica, in Voce Isontina, 14 novembre 2009