Nemesis, ovvero la : una CAGE Art Evoluzione ricca di fermenti

 
 

Siamo nella fase ormai matura della CAGE Art di Eugenio Bernes. Sotto i giochi cellulari c'è la penna grafica che segna la carta virtuale di un'opera nata come contestazione.
Il suono è la base del disegno. Un suono che ti squassa dentro e conflagra. Un grido che deve terrorizzare chi si oppone prima dell'urto micidiale con inevitabile disintegrazione di qualsiasi materia. Un suono immane e inimmaginabile.
Così urlò Medea prima di uccidere i figli, consacrandosi agli dei della Notte.
Nel dipinto le storture del vivere vengono fagocitate da una bocca dilatata a dismisura, spalancata fino a diventare l'emblema del vuoto di razionalità in cui rotolerai consenziente. Il sangue si fa nastro che serpeggia entrando/uscendo da cavità tenebrose. L'azzurro non è un resto di cielo ma brandelli di carne putrefatta, il volto, pallido di furore, si contrae e allunga in dimensioni infinite.
Nulla può resistere a questa spinta esplosiva.
La scelta del soggetto, serialmente reso, segue la logica dell'amplificazione. Monta la rabbia nel cervello, preme sulle pareti del cranio come una corrosiva schiuma rossa, deflagra e non si disperde. Perché il Golem si è liberato e macina tutto nella sua corsa atroce.
Che gli automi cellulari lo assecondino, dunque. Nel moto perpetuo di cui si fanno perenni messaggeri. Se la mano dell'artista, pur pacata, deciderà di non fermarli affinché plasmino concretamente Nemesi e la sua legge assassina.
Amen

Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte / Eugenio Bernes /
1 dicembre 2013

Riflessioni durante un tramonto

[Disegno realizzato con Autodesk Sketchbook for Android, elaborazione tramite CAGE System for Android, post-elaborazione tramite Autodesk PixlrExpress for Android e Adobe Photoshop CS4]

 
 

Una fruttuosa in/evoluzione, questa dell'ultimo CAGE di Eugenio Bernes. Una sorta di voluto back to the future se si considera il ritorno al passato nel figurativismo che sottende all'opera e, in controcanto, il progresso verso una maggior personalizzazione. Ovvero: per la fase di partenza accantono il medium puramente tecnologico, lo confermo per l'amalgama dei momenti successivi, tuffandomi però con scienza e coscienza nelle "buone cose" antiche - di sicura matrice irongozzaniana - e recuperando, tramite le emozioni, la realtà effettuale. Uno straniamento con regresso, quindi, che dà i risultati ottimali della contenuta malinconia espressiva del soggetto. Ciò che colpisce di prim'acchito è la struttura generale del ritratto fatta delle linee morbide del busto da cui sboccia il volto di giovane donna assorta in visioni interiori che non ci è dato sapere. La geografia fisica risultante è articolata di pochi segni grafici alieni al gioco perverso del CAGE.
Nessun Dio informatico a porre limiti.
Resta l'idea che abita l'autore, valgono la sua ispirazione e la forza del tratto graffito sulla carta. Tangibilmente graffito sulla carta. E poi avventurosamente elaborato con criteri di salvaguardia di ogni sembianza. Così, l'ovale inclinato del volto ripreso nel doppio dello scollo, l'intersecarsi lievemente a V delle braccia, la diagonale obliqua delle spalle, i capelli ricadenti a unire con le loro onde fluide mente e cuore, sono tutti dettagli di grande naturalezza. Scaturiti nella luce di un qualsiasi tramonto forse vissuto o, forse, solo immaginato. La situazione concreta non è rilevante. Conta la mano che si è mossa sotto l'estro di una folgorazione, conta quell'accennato sorriso enigmatico da Monna Lisa un po' estenuata che la potente fantasia enuclea, conta il balzo percettivo che si riappropria dell'originario suo ruolo demiurgico e infonde impulso alla creazione.
La resa finale è un'altra storia. Racconta calibrature cromatiche, luminescenze tonali, ricerca di equilibrio iconico. Il tutto secondo formule di perfezionismo formale irrinunciabili per l'artista.


Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte / Eugenio Bernes /
21 settembre 2013

Persuasioni, CAGE, 2013

 
 

Molto interessante nella sua ironia sul nonsenso della persuasione come sentimento-guida del consistere, questo CAGE di Bernes. Il pendolo michelstaedteriano si fa fluido e vanifica ogni legge specifica non gravitando più verso il basso. La mano si apre sconsolata alla vertigine. L'epoca delle filosofie negative è al massimo dello splendore. Non c’è sbocco verso una Morale atta a farci traghettare sani nel tempo che verrà. Sani del Dubbio che indichi qualche possibile via per controbilanciare l’instabilità di questo nostro mondo dai connotati sempre più devianti. L’universo vivibile è solo nella nostra mente con tutta la ridda di sentimenti che lo accompagnano. Aleatori perché assolutamente individuali. Accorgersene significa perderli. Non c’è cattura che vada a buon fine. Le osservazioni di chi ti sta di fronte incalzano serrate, pressanti di “oggettivismo personale”. E proprio perciò inafferrabili come ogni elemento dell'arrancare quotidiano. A meno che non ti sottometta. Diventando vittima della comunicazione interrotta perché non biunivoca. Lo manifesta la metafora del concetto di Persuasione: una spirale involvente su di sé. Destinata ad annullarsi, visto che il palmo l'ha appena lasciata andare perché si faccia messaggera, e lei, nel paradossale tentativo di esprimersi, ha incontrato la quinta scenica e vi si è amalgamata smussando le sue fiamme in circuiti pronti, entro breve, a spegnere il rosso della passione nel cupo di un cielo senza stelle.
Come prova dell'incapacità dell'uomo di interagire con i suoi simili.
Così, davanti a questo artefatto cellulare, viene da chiedersi: derelizione di sé o degli altri? Effetto da fragilità emotiva connotata nel cedimento del gesto? Qua, l’ultima pare buona. Rapporti prima sospesi e poi respinti. Esistenzialismo sconfessato nei suoi stessi presupposti. Il relativo ci trascina in una dimensione di acquiescenza alla perdita, segnala il gioco simbolico dell’opera. I nostri slanci occasionali nulla possono contro o in favore di sequenze di pensieri, desideri, scelte gravitanti extra nos. Retorica il crederlo. Eteropersuasione fallimentare, quindi. E di ciò ci rende consapevoli lo Spazialismo del progetto con i suoi schemi di sperimentazione tra scienza e arte, quando, tentato a varcare soglie che non siano solo tagli sporadici della materia, si scontra con le esigenze dell’Espressione interiore, e si rapprende nell’energia inconscia che rappresenta. Atomo per atomo.


Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte / Eugenio Bernes /
11 giugno 2013

Il ratto di Persefone, CAGE, 2013

 
 
E’ un vortice il cuore di questo dipinto. Si disviluppa convulso da un fondo scuro e si snoda in cerchi quasi dentati che simulano l’orrido carro con cui Ade rapì la figlia di Demetra. Nel crogiolo della congestione si mescolano i colori caldi dei prati di Enna con i fiori opulenti, le nuance ventose degli alberi, l’azzurro degli stagni e pezzetti di quel cielo limpido che la fanciulla non potrà rivedere per i successivi sei mesi, come recita il mito.
La caverna infernale si bevve tutto.
L’intelligenza preposta al riciclo riarticola, però, la materia estraendola da un tempo senza parametri logici, e ne fa un racconto di rigenerazione spontanea. Un esempio di Pittura Nucleare insita nella ragione delle cose, nel loro evolversi? Nessun tipo di accademismo in questo disintegrare forme per restituirle sub specie di agglomerati atomici. Dove non solo l’uomo trova il suo spazio abbandonandosi al flusso ma anche tutto, proprio tutto, ciò che attiene all’universo si esplicita. Automatismo surrealista ed Espressionismo astratto sembrano essere le tecniche. Chi ne è il demiurgo in questo caso non ha concesso nulla al figurativo. La Luce e il Colore che essa suscita sono i soggetti dell’opera. E va bene così. Perché in fondo, la rappresentazione di una Dea rapita da un Dio può avvenire solo nel contrasto che li ritrae. Non è altro che il dramma scenico delle temporanea vittoria delle Tenebre sul Chiarore.

Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte / Eugenio Bernes /
10 giugno 2013

KAMMERMUSIK NO.6, CAGE, 2013

 
 

È il tempo il tema di quest’opera. Non la musica. O meglio: apparentemente vi si svincola un motivo che è quello della composizione n° 6 di Paul Hindemith per viola d’amore – lo dice il titolo -, in verità però è la memoria pura di onde sonore eterne a scorrerla. Generate, queste ultime, dal gesto, e convergenti in risucchio metafisico verso il gorgo blu Klein all’apice del disegno cellulare. La materia si sta disciogliendo, vi permangono però ancora i simboli dell’attimo: gli occhi chiusi nell’intensità della prova, il cavigliere con i suoi piroli ben evidenti, le serpentine delle fiamme, il grafismo sottile dell’archetto. Niente di più. La C.A.G.E. Art ha cancellato il resto rendendo tutt’uno il fatto spirituale e il dato fisiologico. L’intima relazione dell’esecutrice con il Tutto si sta evolvendo, il passo successivo sarà la disintegrazione fluida di ogni tratto e l’espansione (o contrazione?) trascendente che restituisce qualsiasi concretezza alla coscienza universale. Per quanto la scritta in chiaro Sezessionstil tenti un argine a tale trasformazione, ponendo dall’esterno del fenomeno ormai iniziato ironici limiti a quanto è inevitabile.


Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte / Eugenio Bernes /
11 maggio 2013

Πάντα ῥεῖ, CAGE, 2013

 
 

Tutto scorre. Certo. Lo dice lo PseudoEraclito. Il Divenire la vince sempre sull’Essere. Almeno nella nostra dimensione mortale e al di là del fatto improbabile che, se un Λόγος ribelle, sotteso ai fenomeni effimeri, portasse la quiete in ogni punto, uguale a se stesso inalterabile indomabile, ci sarebbe una stasi per le forze che fagocitano materia su materia e la trasformano in altro da sé. In moto perpetuo. E ciò riciclando il substrato complesso in cui le varianti si assestano come tappe di sviluppo, dopo il primo impulso. Impulso d’artista naturalmente. Oppure divino. Estro generativo alla fin fine, dagli esiti sempre esteticamente straordinari perché la rielaborazione gestita dall’Intelligenza sovrana, che informa accordando, possiede una sapienza intrinseca assoluta.
Viene da chiedersi quali ne siano le caratteristiche. Solo intensive? Soltanto extensive? Entrambe assieme?
Se vale l’ultimo rovello, qui si parla di Dio.
Allora: la mano di questo Dio informatico sparge manciate di notizie, chi si apre al contatto raccoglie le più palesi, le analizza e ne rigetta alcune sulla scacchiera da sistemare. Per avviare il processo. Che diventa autonomo quando l'autore antropomorfo chiude la sua volontà e lascia il Libero Arbitrio al fermento intimo di ogni cosa in evoluzione germinativa di rimandi subliminali. Come il volto di giovane donna dell’opera in esame nato dalla mano protesa in alto a sinistra e predisposta a spargere i suoi trucchi sulla campitura di lavoro.
La mano di Dio, dunque.
Tre sono, allora, le fasce dell’opera, interagenti l’una con l’altra in motivi sempre più complessi. Dall’assoluto dell’Alto, al comporsi del centro in occhi delicati e volto e collo morbidi da modella rinascimentale, al gioco quasi optical dell’angolo in basso a destra, dove gli sprazzi di sostanza colorata stanno ancora formando una progenie mutante. Mentre captano segnali di stili già vissuti, riformulandoli in calembour beffardo. Guai all’artista, infatti, che si esaurisca in una scuola o nella ripetizione di tecniche e moduli, sembra ammonire il Demiurgo Metaumano/Gran Burattinaio del procedimento in fieri. Il nostro hic et nunc deve affermarsi come preludio a una trascendenza in grado di percorrere i reticoli della comune gabbia digitale travalicandone le barriere.
Un po’ nella scia del Color Field newyorkese degli anni ’40 –‘50, soprattutto per il concetto del superamento dello spazio pittorico mediante un tendere geometrico/cromatico all’invasione delle zone cellulari. È la stessa forza di gravità a scagliare sul supporto grafico macchie liquide rapprese o colanti. Sono i tratti inconfondibili di Clyfford Still, Mark Rothko, Barnett Newman, Hans Hofmann, Gene Davis, Ronnie Landfield, Frank Stella e, soprattutto, di Sam Francis a portare testimonianza di superfici di intervento vaste, alias luoghi pittorici adatti a registrare i gesti d’artista iniziali come inscindibili dall’azione che li ha generati.
Una scorta buona, questa, che rende ragione del citazionismo multimediale in cui la C.A.G.E Art di Eugenio Bernes, giovane musicologo, musicista e informatico, si muove con agio.
E non c’è Leonardo da Vinci o Georges Braque che tenga: il fattore X è insito negli elementi. Il cacciatore più astuto (o più sensibile) lo coglie e del modo fa sistema.


Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte / Eugenio Bernes /
12 maggio 2013

Quadricromie / Ciò che conta è il pensiero, CAGE, 2013
Ritratto di Irene Navarra.

 
 

Accenni di fisionomia. Il concentrarsi del punto di osservazione sulla vampa rossa della mano a schermo della bocca. Sostanza fluida attorno, articolata per contrasti di toni ora geometricamente lineari ora magmatici. Strati da cui emerge la sostanza, ma resa scarna dalla luce che colpisce una metà del volto, regalando l'altra all'ombra. Quale la realtà della persona? L'altalenante interazione del C.A.G.E./gioco suggerisce senza svelare, mentre l'appassionato focus si fa indizio di genesi compositiva, sulla scorta però di una trasmigrazione in azzurro della cromia centrale. Non è il primo piano che vale, ma quanto lo permette. Non l’impulso primordiale, dunque. Dietro l’emozione si affaccia un connotato più profondo. Così, la prospettiva della fessura a V ha la sua ragione proprio nel culmine espanso, dove l’infittirsi dei tratti sulle minionde dei capelli, simili a sinapsi, polarizza ogni attenzione.
Perché, in verità, ciò che conta è il pensiero.
Un’arte euristica allora, questa del C.A.G.E., la cui vocazione spontanea sta nel raccogliere l’essenza dei soggetti, rivelandone sfumature altrimenti nascoste. L’abilità di chi l’ha domata porta i segni dello sciamanesimo. Nella sua pratica, infatti, l’atto creativo è simile a una sorta di trance guidata attraverso le leggi preposte alla materia. Un viaggio, insomma, di cui risulta noto solo il punto di partenza /elemento originale. Le tappe successive sono evoluzioni autogerminanti dagli sbocchi straordinari.


Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte / Eugenio Bernes /
10 maggio 2013