La lirica di Irene Navarra in La terra, la visione

Cenni di poetica

Prima parte

 
 
 

Raccontare la natura nei ritmi alterni delle stagioni è la vocazione di gran parte di questa lirica. I colori, però, i profumi, le piante, le vigne in particolare con i loro vasti filari, rimandano ad altro. La poesia è per l'autrice uno specchio. In esso si riflette il mondo, attraverso un gioco di rifrazioni e di bagliori, ora tanto intensi da stordire, ora appena accennati, ma proprio perciò più evocativi. E la ricerca di attimi, assoluti e vivificanti per le cose su cui lei posi lo sguardo, ha il carattere simbolico del viaggio spirituale compiuto a ogni passo del suo peregrinare tra realtà e sogno. Approda pertanto al suo io intimo in una sorta di memoria dilatata – dapprima volontaria -, ricostruendo i frammenti sparsi del quotidiano tanto labili altrimenti da poter svanire in un battito di ciglia se sensi e mente non sanno coglierli. Ne fissa allora il segno con parole che esprimano il suo gioioso riaffiorare alla coscienza, carica di tesori a lungo cercati. Così, purificata dalla sua stessa inchiesta rituale, sa sorprendere i baleni di un universo ritrovato, per assorbirli e restituirli, nell’atto della scrittura, come prodigi di gratuità. Quella di cui si è nutrita durante la straordinaria esperienza di approccio al reale tramite rivelazioni, per brevi tratti estatiche, per altri tese e commosse, ben conscia sempre di un “oltre”o di un “altrove” trascendente. Il Divino dietro lo specchio. Abile a svaporare, schermandosi fra enigmi imperscrutabili, quando, con la crescita dei nostri livelli di comprensione, ci perdiamo nel suo Immenso.


Silvia Valenti / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte /Irene Navarra /
26 giugno 2013


Nelle immagini: Irene Navarra, Oltre l'autunno, fotografia e tecnica mista, 2012

Il cammino di un'anima ribelle

 
 
 
La lirica di Irene Navarra origina da un’insopprimibile necessità dell’anima. Narra, con intento consolatorio, vicende di crolli e rinascite attraverso metafore, correlativi oggettivi, analogici nessi che intaccano la distanza tra noto e ignoto mentre dipanano grovigli di pensiero. Nelle vivide immagini, evocate per significarli, è chiaro un desiderio di progresso non immune da utopia. A esse si accompagnano categorie espressive singolari: neologismi, costrutti di parole ad amalgama o ad accumulazione, chiose dalla cadenza icastica. Ne deriva un ritmo ora disteso ora concitato che suggella la scrittura fervida del libro. Il registro lessicale e stilistico si fa così veicolo di incursioni oltre il confine di un lacunoso distinguere. L’autrice, allora, avverte la poesia come un luogo in cui approfondire la dimensione soggettiva. Là si rapporta al reale, lo distilla, ne decifra l’ordine, lo supera trovando una via più serena a se stessa. E proprio nella misura di quello spazio sa accettare il suo perenne struggimento per il contemperarsi di cuore e ragione.

Alessandra Rea

Artemisia Eventi Narrativa e Poesia

 
 
 
Io vi darò “Parole come braci accese. / All’occorrenza trasalite in fumo. // Parole soffocate nel cuscino / Parole fiale lacrimali / Parole piaghe infette / Parole calce candida / Parole eucarestia e giglio / annunciatore di Rigenerazione” (da Dettagli, Edizioni della laguna, 2005).

Irene Navarra




Voglio “di tutte le parole, quelle del colore dell’argento, / quelle che sono state sparse come asfalto bollente / sopra i nemici della bontà, le parole / fatte di grano, di spade, di quarzo di Francia, di vino, / di ragione, di ardimento, di querce…” (Pablo Neruda, A Luis Aragon).
Voglio parole che portino semi nel caos dei linguaggi spenti.

Alessandra Rea



Sarò la mano che cosparge di colori le parole. E poi le incide nell’inchiostro.

Silvia Valenti



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La terra, la visione

 
I vasti filari della mia campagna
si smagliano in distese di trifoglio
canoro per registri di cicale
e trotto lucido di smalti.
 
Oltre le vigne case biance e grigie.
Hanno persiane stupefatte. Ciglia
curiose sulla soglia di un finito
a grappoli vetrosi
con la luce dentro
il caldo dentro
del mostro che si culla
in acini di sole.
 
 
Un melo dimenticato dietro una casa immersa nella campagna, i suoi “pomi incolti, parte a terra / parte ancora appesi” (da C’è un grande melo dietro Casa Bensa), evidentemente abbandonati ma preziosi, per quanto il loro unico destino sia quello di nutrire le zolle. I rami sono braccia che mettono in contatto due dimensioni scudisciando le nubi, sfamandosi di vento e tracciando in cielo “messaggi ineludibili / se intendi / quel linguaggio libero” (ibidem). Nel suo chiaroscuro sta una donna con accanto un cane. Si guarda attorno, respira l’aria che sa di buono. Ormai dentro il miracolo, tutt’uno con gli elementi primordiali, ne segue i ritmi. Negli occhi lo specchio socratico del divino. Tra le mani, aperte a cogliere tesori di gratuità, il pulsare della vita che persino in un fragile arbusto è beatitudine.
Il rigenerarsi delle stagioni, ripetitivo eppure mai uguale, come le lacrime dei tralci di vite a primavera inoltrata, ci mostra un cammino che per la sua incredibile semplicità, stentiamo a compiere.
Ogni giorno un prodigio.
La compenetrazione tra l’uomo e la natura, narrata in quest’opera, si veste di misticismo. Ed è anche l’espressione dei pensieri più intimi. Quelli che ti salvano dal dolore quando i colpi della sorte si abbattono come scuri, quelli che ti portano tra i vasti filari della tua campagna, pronta a sorriderti con volteggi di gazze e ghiandaie, distese d’erbe selvatiche e giardini rigogliosi.
Un inno alla purezza nascosta dalla patina dell’abitudine.

Dall'Introduzione di Silvia Valenti

Derive

 
Toccare un lembo d'anima.
Toccarlo appena, senza stringere.
 
È proprio questo l'artificio
che dà sollievo
quando vince la gravezza
e radico smaniosa
da dita occhi fianchi
il tempo del passaggio
sperando di fermarmi
a contemplare
il beffardo teatro della vita.
 
 
Derive.
Esistenziali, naturalmente, quelle di Irene Navarra.
Spirali costanti nella continua combinazione e mutazione degli eventi.
Flussi remoti.
Travolgenti metafore.
Come segni di una nuova cartografia per gli arcipelaghi della mente e dell'anima.
Paradossali ipotesi di salvezza.

Dalla Prefazione di Silvia Valenti

Dettagli

 
Dettaglio ineludibile il morire.
Inaccettato.
Sempre.
 
Ancor di più se a poco a poco,
annichiliti da un'abnorme vita
che rode sorda attorno
all'invisibile cartina al tornasole
di un arcano da scoprire.
 
 
Secondo tempo della sua vicenda poetica, il nuovo libro di Irene Navarra si apre su una natura simbolicamente protesa a intuire percorsi di salvezza attraverso l'inesausta ricerca della Verità. Le tematiche filosofiche e i modi ragionativi sono per i versi un connotato essenziale ma non unico. Il lirismo visionario infatti, che intreccia il sogno alla realtà, crea e vanifica illusioni, appare senza dubbio alcuno la sostanza più suggestiva della loro ispirazione. In una sorta di speciale lucidità l'autrice frammenta il suo mondo, lo analizza minutamente e poi lo ricompone attenta, con un rito quasi primordiale di appropriazione che la riconduce a vivere, anche dopo le più devastanti esperienze. Insinuarsi con sottile curiosità nelle cose, coglierne il riso e il pianto significa quindi riemergere da qualsiasi perdita, sublimando ogni rischio di nichilismo con la saggezza di chi, disincantato, gode quel che sa e può.

Dalla Nota di copertina

Margini

 
Divenuta per necessità
scatola sigillata
ho messo un'etichetta esplicativa:
 
"Rifusi, Rimasugli, Noncuranze".
 
Sono oramai parte integrante
del popolo dei margini.
 
 
"Nucleo fondamentale delle raccolte è il sentimento esistenziale della morte", scrive Irene Navarra nella sua Introduzione; eppure queste parole, sebbene dicano certamente una verità, rischiano di non rendere pienamente ragione del mondo di stati d'animo, temi e suggestioni che Margini riesce a evocare nel lettore. Un mondo del quale, al di là delle innumerevoli epifanie di morte, rimane impressa la sincera e struggente femminilità con la quale l'autrice affronta e canta la propria storia.  

Dalla Nota di Luca Mateusich