Dall’ Ecclesia parva di Don Fulvio Demartini all' Opus magnum di Don Paolo Bonetti
La “Parrocchia di Maria Santissima Regina” restituita ai fedeli

 
 

Quattro anni per ridare un cuore vivo e pulsante al rione Monte Santo. Dalla piccola Cappella di Don Fulvio Demartini ricavata dai locali del “Circolo Ferroviario” all’edificio sacro voluto con determinazione, tenacia e cultura da Don Paolo Bonetti nel rispetto dei canoni. Ritorna rinnovata la “Parrocchia di Maria Santissima Regina”. Una grande letizia pervade i fedeli e la volta del cielo si apre ad accogliere voti di ringraziamento. In tutta questa gioia però un ricordo nostalgico va inevitabilmente al nucleo originario di tale splendore, l’Ecclesia parva che mi vide bimba semiaddormentata vicino a una sibilante stufa a gas nelle funzioni natalizie della mezzanotte. Mentre la voce profonda e dolce del nostro Buon Pastore ci accarezzava rinnovellando l’arcano della scelta del Figlio di Dio. Profumo d’altri tempi. Stagioni perdute ma ancora sapide di una fede ammantata di fervore. Il microcosmo degli anni ‘60 e il macrocosmo del nuovo millennio. Due concezioni intrecciate a completare un viaggio iniziato tra gente che s’insediava alla periferia della città, al limitare di campi e terre incolte, sullo sfondo del San Valentin e del Monte Santo, con il nastro turchese dell’Isonzo come cintura. Una delle arterie principali di questo corpo era Via Carlo Michelstaedter. Fu così che conobbi l’intellettuale goriziano morto suicida all’età di ventitré anni, il 17 ottobre 1910. Seppi di lui leggendo il suo nome su un cartello di fronte a casa mia, me ne incuriosii e lo cercai. La scoperta del suo mondo la devo quindi al mio quartiere.
Lode al mio quartiere popolare e popoloso.
Che dire invece di questo recente tempio liturgico che non appaia manifesto anche al visitatore occasionale, e solo a una sommaria occhiata? Non c’è margine di errore nel definirlo armonioso. A partire dal profilo sferico che ricorda un caldo abbraccio. La Chiesa è madre benevola con i suoi figli. Agghindata di luci variopinte per compiacerli e deliziarne la vista riverbera l’anima bella nelle vetrate policrome. Veri e propri trionfi di chiarore trasparente con tocchi decisi in forte contrasto raccontano la Passione e la Morte di Gesù. Narrano le storie della Via Crucis, storie di dolore e tormento, confluenti tuttavia in una sorta di quindicesima stazione rappresentata dal Cristo Risorto, dalla sua figura intagliata nel legno e campeggiante sul mosaico dell’abside. Una Via Crucis che è anche una Via Lucis. Il richiamo alla vita e non alla morte risalta in tutta la struttura dell’opera di intensa spiritualità evocativa. Il lucernario irradia di azzurro e giallo l’aula, l’altare, l’ambone e il battistero in cui nasciamo a Dio emergendo dal peccato originale. Immagino che Maria ci conduca per mano a interpretare i Misteri della Chiesa accompagnandoci in un rosario figurato, un itinerario la cui meta è la pienezza, la trasfigurazione che ci unisce al Padre donando la serenità del giusto esistere.
Il primo approccio con la Parrocchia rinnovata l’ho avuto di sera, il giorno precedente la Consacrazione. Un gruppo di uomini preparava l’arco adorno sotto cui sarebbero passati l’Arcivescovo e il suo seguito. Nel buio del parco sfavillavano squarci cangianti; per giochi luministici le figure delle vetrate sembravano muoversi. Una magia mistica. Un nodo alla gola. Ecco, il miracolo dell’uomo era stato compiuto. Pensiero e azione coronati da un successo come puro godimento dei sensi e dell’anima. Materia e forma. Oggi si esalta la prima, rammento di aver pensato, domani tripudierà l’ultima, in consonanza con riti commoventi. E l’indomani - varcata la soglia intonsa dopo l’invito di Monsignor De Antoni e sfiorando appena la porta d’ingresso, le sue sante scene - tutto un procedere di cerimonie cultuali: la benedizione dell’acqua, l’aspersione del popolo, la preghiera di dedicazione, le litanie, l’unzione, l’incensazione, la copertura e l’illuminazione con ceri dell’altare fiammato. Gesti solenni che suscitano turbamenti intimi, una riconsegna alla chiesa primitiva, alla sua forza. E l’orgoglio di essere là, in quel momento irripetibile, piccola goccia nel mare del Trascendente. Sotto lo sguardo del Cristo libero dai chiodi, sotto la V espansa della tunica, come una punta di freccia che rientra nella faretra di Dio Padre, dove ogni sussulto tace acquietato dall’Eterno Amore.


Irene Navarra, in Speciale Cultura di Voce Isontina del 9 ottobre 2010