L'astrattismo orfico di Mario Zampedroni

 
 

Abbandoniamoci al richiamo di Floral 4 di Mario Zampedroni (prima immagine, acrilico su tela, 2011).
La campitura del dipinto (acqua e cielo a specchio vicendevole) è attraversata da un deciso nastro nero. Da lì sgorga in filigrana un nucleo di fiori stilizzati che raccorda gli spazi dominandone le dimensioni in un balzo percettivo abbagliante. Una singolare fibula vegetale la cui origine sta nel mistero, ma tende per destino verso la luce.
Nella poetica dell'artista i fiori si trasfigurano spesso in macchie, materiche all'impressione, e seriali talvolta per i precipui elementi nei soggetti che non hanno ancora rinunciato al figurativo, così come fa la natura con i suoi germogli. Una natura,allora, quella del pittore, sospesa tra realtà e visione. Stagliata su sfondi/scenari che ben realizzano un'ambientazione onirica, colma di nuance piuttosto accese e tuttavia attendibili perché filiazioni dirette di un sentire trascendente. In Alba d'autunno (acrilico su tela, 2013) avviene un prodigio: da cieli gialli, intrisi di luminosa vaniglia virante al verde tenero con due punti rosa/arancio, si riverberano gamme infinite di violetti, che forano il loro mondo fluido privo di orizzonti e coordinate precise. Non conta infatti uno posizione definita. Questo quadro invero, potrebbe rovesciarsi rivelando appieno la tendenza a una narrazione realizzata attraverso inconsci deragliamenti progressivi della concretezza. Scanditi nondimeno dalla scomparsa di agganci al reale nel tratto che si estende e diluisce per l'incerto del lontano. E ciò, mentre si compongono suggestive fughe allucinate. Proviamo, dunque, a ruotare di 90° lo straordinario dipinto della seconda immagine. Ci si plasmerà davanti agli occhi una guglia di forte evocazione: l'immaginaria architettura astratta che potrebbe essere la rocca di Floralia: un'emula delle Città invisibili di Italo Calvino. La cinquantaseiesima (seconda immagine / bis).
Qui si annuncia pertanto uno spostamento di senso che ci fa considerare le teorie sul fantastico di Cvetan Todorov, permettendoci di intuire il miraggio surreale di Mario Zampedroni nel fervore dell'estro.
Qui si coglie anche il magico della sua pittura.
Ci apriamo, quindi, a sprazzi di riflessione sul significato profondo del fenomenico intravisto in virtù dei tagli cromatici di alcune creazioni, sia nei cicli floreali, sia in quelli paesaggistici. Tagli pastosi, o sfumati, oppure addirittura subliminali. Una suggestione allusiva a quanto sta dietro lo specchio delle cose note, percepite spesso in modo ambiguo e con un che di disagio nell'anima per la spinta ardua ad andare oltre.
Un andare oltre che offre l’occasione del ritorno alla fanciullezza (terza immagine, Campi alla periferia di Milano, acrilico su tela, 2006), e a quel luogo privilegiato dove era avventuroso acchiappare rane con la complicità di una mente fervida, pronta a registrare le gradazioni spirituali del momento in un angolo della memoria. Per ritrovarle poi fragranti di immediatezza, e restituirle nel gesto sicuro e largo di chi se ne è nutrito, rendendole tessuto connettivo del proprio genio.


Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte / Mario Zampedroni /
22 novembre 2013