La terra, la visione

 
 
 
La terra, la visione: liriche d'ambiente
Una poetessa "senza confini" (è tradotta in friulano e sloveno) per la tutela di luoghi di sogno
 
 
«I vasti filari della mia campagna / si smagliano in distese di trifoglio / canoro per registri di cicale / e trotto lucido di smalti. // Oltre le vigne case bianche e grigie. /Hanno persiane stupefatte. Ciglia/ curiose sulla soglia di un finito / a grappoli vetrosi/ con la luce dentro / il caldo dentro / dei mosto che si culla / in acini di sole». Si apre cosi la splendida raccolta di poesie che Irene Navarra ha appena dato alla stampe per le Edizioni della Laguna. Un lavoro che coinvolge tutti i sensi, perché al suono delle liriche si accompagna il tratto fermo e la ricchezza dei dipinti di Roberto Faganel. Mentre la musica - perché è musica - delle liriche si diffonde in tutti gli ambiti della Piccola Patria e della Venezia Giulia grazie alla traduzione delle poesie in sloveno e in friulano. Le prime sono affidata alla mano autorevole della letterata Jolka Milic; le altre a Gloria Angeli, della Filologica Friulana. Un lavoro, questo della poetessa goriziana Irene Navarra, che ha anche un fine concreto: «Sensibilizzare alla salvaguardia del patrimonio tradizionale esaltandone l'unicità ». La terra, la visione - Gorizia (e dintorni) tra realtà e sogno - questo il titolo dell' opera (131 pagine) - è «un diario lirico di poetica zen» realizzato in collaborazione con il pittore Roberto Faganel. Per il contenuto dal respiro vasto, per le tematiche spirituali, il carattere translinguistico dei testi che rispetta peraltro la varietà delle parlate locali, l'importanza dei dipinti, la sinergia tra liriche e immagini cosi ben  evidenziata dall'Introduzione di Silvia Valenti, questo lavoro porta un contributo nuovo all'intreccio di forme espressive diverse, particolarmente vivo in questa terra dove non ci sono più confini. La presentazione è in programma il 21 aprile alla biblioteca statale di Trieste in Largo Papa Giovanni XXIII, alle 17.30. Contemporaneamente si aprirà la mostra dei dipinti di Roberto Faganel che corredano il volume. Il tutto nell'ambito della Settimana della Cultura sotto l'egida del ministero dei Beni Ambientali e Culturali. Il libro della Navarra si segnala anche per un altro pregio: le traduzioni. Quella in lingua slovena è della grande Jolka Milic, «che - racconta l'autrice - mi ha onorata della sua maestria e della sua amicizia proprio in virtù delle mie liriche, accettate con generosità in tempi brevissimi». La versione in friulano è acura di Gloria Angeli, docente all'Ateneo di Udine, traduttrice ufficiale della Filologica, poetessa e critico. A lei si deve la presentazione fissata per 1'11 giugno a Tolmezzo. 
 

R.C., Il Messaggero Veneto, 29 marzo 2010

 
 
L'incanto del Creato e l'amore per le sue creature 
 
Il biografo di Giovanni Bosco - il sacerdote Giovanni Ceria - riporta che ogniqualvolta, nel corso della sua vita, il santo venne a trovarsi in pericolo, misteriosamente gli compariva accanto un grosso cane: "Aveva una figura quasi di lupo, muso allungato, orecchie dritte, pelo grigio ... nella grossezza e nella forma somigliava ad un cane da gregge o a un mastino da guardia." (in Memorie biografiche di S. Giovanni Bosco, VoI. 1\1, pp. 711-712, Società Editrice Internazionale, Torino, 1883). Di lui l'apostolo della gioventù diceva: "Di quando in quando mi veniva il pensiero di cercare l'origine di quel cane e a chi appartenesse, ma poi riflettevo: Oh, sia di chi vuole, purché mi faccia da buon amico. Io non so altro che quell'animale fu per me una vera provvidenza ... ";(Ibidem). Soprannominato Grigio, il suo discreto esserci nel momento del bisogno, accompagnò don Bosco ben oltre i giorni terreni: infatti, durante la traslazione dei santi resti da Roma a Torino, nel maggio del 1959, questo "Angelo Custode" dal folto pelo bigio riapparve per impedire la profanazione dell'urna da parte di alcuni facinorosi. Anche Irene Navarra ha un "Angelo Custode". È Aslan/golden retriever Emma dal pelo mieleoronocciola, macchiato del blu di succose more. La sua immagine riflessa si intravede tra le righe dei versi, nel controluce di parole che narrano l'amore per la terra/Terra e i suoi abitanti. Tutti. Cicale, una cornacchia clown che gracula, passeri, gatti, talpe, ghiandaie, falene, gazze, una ragna che tesse la sua tela - sempiterna Penelope - ... e poi Asia labrador, Achab meticcio, Kurt draktar e ancora Emma nei campi di trifoglio o di finocchio crocchiante, tra calcatreppole ortiche trifoglio e gelsi siliquastri nocciole foglie tronchi; in vigne fragranti di uva merlot o malvasia che sa di mandorla segreta tra bora e nuvole nel verdeacquasmeraldo del nostro Isonzo. Questo il contenuto. La forma/contenente è ornamento, ritmo, struttura simmetrica e ricercata nelle voci e nei giochi di parole, mai uguali a se stesse. Un uso poliglotta e sapiente di vocabili del parlato quotidiano, incastonati nella lingua culta, contribuiscono all'espressione canora del suo sentire l'amore. Appare allora naturale e inevitabile accomunare la poesia di Irene alla prosa ritmica delle Laudi medievali e a quel modello per eccellenza che fu ed è il Cantico delle Creature, spruzzato di forme parlate e inflessioni umbre: trama sulla quale si innesta l'ordito del cantico di Irene. L'amore di Francesco per il creato (senza scadere nella banalità di un'interpretazione romantico-panteistica) è la percezione della bellezza divina in tutte le cose, presenza colta nell'immediatezza gioiosa di colori, forme, movimenti e suoni. Irene Navarra guarda con gli occhi e sente con le orecchie di Francesco quando contempla e ascolta la bellezza, quando pone sullo stesso livello sensi e spirito; come Francesco in cui materiale e spirituale si fondono in comunione col divino. Come per Francesco, il cammino/viaggio sulla sua/nostra terra è vita vissuta nell'amore per il creato e le sue creature. La natura - istanza intermedia tra l'uomo e il suo Fattore - è stata modellata perchè l'uomo, incantato, ne possa godere: tutto è bello e buono, umilmente espresso con parole povere e disadorne in Francesco; tutto è bello e buono e prezioso in Irene che cerca incessantemente modalità espressive insolite, quasi le parole, dalle più usuali alle più alte, non fossero sufficienti a contenere tanta meraviglia. Come Francesco rinuncia a ogni supremazia di fronte al creato, mettendosi al livello di qualsiasi esistente, così Irene si fa partecipe della natura intorno a sé confondendosi nell' amore per essa e per Emma. Benedetto Croce insegnava che il metro di giudizio del critico è insito nella sua natura, più o meno sensibile, e nel suo gusto, raffinato attraverso la conoscenza e la cultura personali. Operazione dunque assai delicata e rischiosa, oltre che del tutto arbitraria, e svincolata da criteri meramente oggettivi. Per contro, dopo di lui, ci si è attenuti rigorosamente a indicatori "esterni" che dessero la misura della portata sociale, storica, umana e morale dell'oggetto di critica. Quindi, da un criterio estetico si è passati ad uno temporale, sintomatico cioè di un sentire che offrisse garanzie di rispondenza tra l'espressione lirica e la situazione socio-letteraria in un dato periodo. Ho già avuto modo di affermarlo: non sono un critico, ma la mia opinione è che, come sempre, la verità stia nel mezzo. Tra una spiccata sensibilità verso il bello e il vero (perché anche buono, Bibbia docet) e un'estetica del gusto, insomma, senza discostarsi dalla capacità di cogliere la valenza storica e umana, sociale ed etica dell'evento lirico. Ecco perché, nell'apprestarmi a offrire al lettore la mia visione dell'ultimo, intenso percorso poetico di Irene Navarra, perfezionato in sinergia con il pittore accademico Roberto Faganel [La terra, la visione - Gorizia (e dintorni) tra realtà e sogno - Poesie e dipinti, Edizioni della Laguna], non posso fare a meno di cogliere il bello e il buono che trascendono questo raro volume. Gli effetti di luce e di colore degli splendidi oli e acquerelli del nostro Faganel, il senso allegorico e simbolico del poetare - "Mangio Pane di ieri sulla strada / del ritorno. E bevo il Vino / di giornate piene sotto un cielo / sacro" [ da Primavera a San Mauro, VII (Il Pane di Ieri) ]- restituiscono realtà morali e spirituali che si intrecciano, compenetrandosi in un continuo gioco di rimandi, dal segno al testo, a tal punto evocativi da rendere il libro, come sostiene l'Auerbach quando parla della Divina Commedia, "realtà contemplata nella visione".  
 

Alessandra Rea, Quaderni di critica, in Voce Isontina, 5 dicembre 2009