L'arte di Roberto Faganel in Studi Goriziani, N° 107
(LEG / 9 aprile 2015)

 
 

Presso la Libreria Editrice LEG di Gorizia, il giorno 9 aprile 2015, alle ore 18.00, si è presentato il N° 107 di STUDI GORIZIANI, la Rivista delle Biblioteca Statale Isontina. Tra i relatori c'ero anch'io. Ho parlato de L'Arte del pittore ROBERTO FAGANEL, ripercorrendo il mio saggio pubblicato alle pagine 177 - 185 della rivista culturale sopra citata. Le parole sono state arricchite dalle immagini di un video esplicativo della sostanza poetica dell'artista.





La Presentazione

Il video che sto per presentarvi, illustra, oltre alle opere di Roberto Faganel riprodotte in STUDI GORIZIANI, anche la motivazione di partenza di questa vicenda critica. Una vicenda nata 5 anni fa, nel 2010, quando stavo preparando la performance multimediale Di soglia in soglia - La Percezione dell'Assoluto dedicata a Carlo Michelstaedter nel centenario della sua morte. Performance che poi fu allestita al Teatro Incontro di Don Ruggero Dipiazza. Per l'occasione pensai a una clip che proiettasse il pubblico nell'atmosfera dei luoghi goriziani cari a Carlo, e scelsi pertanto un'artista che li avesse rappresentati con emozione empatica. Roberto Faganel per l'appunto. Nel 2010 ricorreva inoltre il cinquantenario della sua prolifica attività: il video e il saggio contenuto in questo numero della rivista furono un modo per rendergli omaggio.
Grazie al Direttore della BSI, Marco Menato, per avercene offerto l'opportunità.
Quale, dunque,la poetica del M° Roberto Faganel.
Il suo è un mondo fatto di luce. La luce piove sulle cose, sulle creature, sugli elementi naturali suscitandone gradazioni incredibili. La luce inonda il suo pensiero e lo guida alla ricerca dell'impressione giusta, da narrare con il tratto giusto. Ama dipingere all'aperto. La foto d'inizio video ce lo afferma. Là si trovava nel Parco del Monte Tricorno a Pokljuka, in gara con 600 pittori di tutte le nazionalità. Avrebbe vinto il primo premio tra gli stranieri con un acquerello rappresentante degli abeti quasi smarriti in una nebbiolina tenue. Pittura en plein air. Passione immensa. Nell’accezione di tormento ed estasi. Se si è in grazia creativa, credo non ci si accorga nemmeno che il cielo si è squarciato e ti sta riversando addosso cascate gelide. Conta solo ciò che fai, come ti muovi, come mescoli i colori, quali nuance ne scaturiscono. A ogni traccia, ricciolo, strinatura di pigmento una sorpresa magnifica.
A questa conquista l'avevano condotto: gli studi presso la Scuola di figura del Museo Revoltella di Trieste - sotto la guida di Nino Perizi prima, e di Riccardo Tosti poi - e la lezione del Chiarismo, di ascendenza postimpressionista quanto a trasparenza dei colori e scioltezza di tratto. In linea ideale, peraltro, con il magistero di Carlo Wostry, a cui risale la riformulazione valoriale dell’elemento luce in uno svolgersi che stempera i volumi riplasmandoli alleggeriti. La luce è protagonista negli oli di Roberto Faganel. Attraverso l’ombra ne determina la costruzione fornendoci al contempo la chiave di lettura. In essi si realizza un concorso di chiarore astratto e pregnanza, tanto che nei punti illuminati la pennellata sembra quasi enuclearsi folgorante per squarci sulla tela. È il caso dei molteplici notturni che ci rimandano aggregati di stelle incastonati come gioielli sulla superficie marina o, diversamente, fattori aggiunti come le lampare. Il risultato non cambia.
Chiarismo, quindi, e luce da un lato. Come fattore quasi genetico del suo essere artista.
Dall'altro la vocazione al Viaggio. Fisico e spirituale. Alla scoperta delle magie dell'universo da riprodurre con impasti solo raramente eccessivi e spesso stemperati nell'immediatezza della rappresentazione genuina. Negli oli, questo. Negli acquerelli invece, le essenze rapite al volo e fermate sulla carta in veloci e tenui tocchi ci parlano di una speciale sua sintonia con la natura che comunica attraverso un linguaggio figurativo, fatto anche qui di luce e ombra.
L'acqua, la terra, il fuoco e l'aria: gli elementi primordiali. Essi costituiscono i nuclei tematici portanti dei suoi cicli pittorici.
I fiumi, i mari nostrani e l'Oceano, la terra d'origine e i paesi stranieri, il calore intenso, il ghiaccio estremo, l'aria pura di selve intatte e quella corrotta delle immense metropoli contemporanee. L'aria rimescolata dai soffi violenti della bora che ci piomba addosso dalla Slovenia. La bora fa parte del nostro essere e dei nostri giorni. Impetuosa, dirompente, stordisce e ci agita. E se anche non si sia mai subito il suo scompiglio beffardo, lo si può presumere attraverso i dipinti di Faganel che la raccontano. È una sincera psiche familiare che dichiara il bene e il male delle nostre zolle tormentate. Una compagna di avventure.
Questa della bora è sobria pittura zen, almeno nel concetto filosofico dell’intuizione artistica che la attiva sulla tela facendola imperversare. L’esecuzione del dipinto appare di una stringatezza fulminea: il pennello scatta assieme alla tensione nel suo culmine e lascia impronte indelebili. Un dipinto zen è il trionfo della semplicità. Pura letizia. E l’artista che lo realizza percepisce lo spirito della natura e vi si identifica. Per rendere il vento, deve mutarsi in vento e poi ritrarlo dal di dentro. Ascoltando il prodigioso insito tanto nel vento, quanto nel suo stesso impulso che gli dà sostanza.
Pittura armoniosa, la sua. Che ci fa intuire uno spazio colmo di fermenti da guardare con occhi attenti per intenderne le meraviglie. Il ritorno costante dell’artista alle origini, all’infinitamente piccolo e all’umile lo garantisce. Gli può bastare poco: un tronco contorto con grovigli di fili di ferro ruggine, un sentiero polveroso tra campi coltivati, la geografia scomposta di edere abbarbicate a gelsi monchi, il mugghio di un refolo burlone che incalza inaspettato spettinando gli alberi, il frullo repentino di passeri dal becco color caffè. Per lui vale il lasciarsi invadere da un senso di epifania in un’intermittenza del cuore che è la scansione ritmica di un lampo percettivo.
La cometa in transito nel cobalto del cielo, stagliata sopra la mole splendente del nostro Sant’Ignazio e i tetti di Piazza della Vittoria come una gemma rara dalla sfavillante scia, lo rivela. Ed è manifesta testimonianza d’amore per la città in cui l’artista vive e opera.




Irene Navarra / 9 aprile 2015







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